giovedì 25 ottobre 2007

Interferenze: iperattività

Senza pretese cercherò di contribuire al dialogo nel coordinamento con alcune –interferenze- pensieri come ronzii, sassolini, rumori che si affacciano in alcune circostanze e che poi per mancanza di tempo o voglia spesso si accantonano. Non vogliono esprimere né abbattere certezze, la forma dubitativa nel nostro settore è d’obbligo e il tono semiserio è per inserire un po’ di leggerezza.

Nei nostri incontri ricorrono spesso valutazioni e considerazioni, qualche definizione molto categorica dell’infanzia di oggi. E così si parla spesso di bambini iperattivi. Sarà così, forse, però..

E’ vero, abitiamo una società frenetica che investe le grandi e piccole comunità, che coinvolge famiglie e singole persone ma le istituzioni educative e i servizi 0-6 credo non si possano proprio ritenere immuni.Guardando da vicino le nostre realtà di nido forse scopriremmo anche qui tempi di quotidianità incalzanti ed esperienze con ritmi da vertigine.
Nell’arco della giornata e della settimana, quante offerte e proposte, quanto fare e variare, forse si sta affermando ed estendendo una nuova “specie” : l’educatrice iperattiva.
Si potrebbero persino distinguere tipologie diverse in base alle propensioni o anche alle pressioni cui ognuno è più o meno sensibile:

  • Ci può essere l’iperattiva - ipercritica, sempre a rimurginare, a rimettere in discussione tutto e tutti, compresa se stessa;
  • o l’iperattiva - interattiva, sempre in rete, sempre connessa ma anche parcellizzata in miriadi di informazioni ed imput;
  • oppure l’iperattiva - interventista che non “molla” mai i bambini e nemmeno i genitori, sommergendo gli uni e gli altri di proposte e di parole;
  • ancora l’iperattiva - ideativa che “per una che ne fa mille ne pensa” e diventa poi un’impresa districarsi per fare scelte di priorità;
  • e pure l’iperattiva – perfezionista che non trova mai la centratura giusta anche se poi dichiara che “tanto a lei va tutto bene”…

Ci sono le forma ibride, le contaminazione e i vari mimetismi: io stessa non so bene dove collocarmi, come quando si va su internet a ricercare sintomi e sembra quasi di avere tutte le malattie possibili.
Si possono individuare concause possibili, probabili, diverse:ognuna meriterebbe qualche approfondimento;
-saranno risposte reattive alle non tanto lontane accuse di spontaneismo ed assistenzialismo? / e le parole chiave diventano allora rinnovare/inventare continuamente propositi, progetti, situazioni …../;
-sarà la necessità di attivare le competenze di quella immagine di bambino competente cui ci riferiamo? / le potenzialità sono infinite e le scelte difficili…./;
-saranno le attese di miglioramento e di visibilità dei nostri amministratori e pure dei nostri pedagogisti -formatori? / si può comprendere la ricerca di riscontri…/
-saranno le aspettative di famiglie sicuramente più attente agli aspetti educativi ma anche più esigenti verso un servizio pubblico costoso? / le indagini “sul gradimento” e sulle “qualità” ormai si sprecano…/
-sarà che in questo coordinamento il confronto costante può far nascere timori di “non essere all’altezza” o anche semplicemente aspirazioni di gruppo e personali a fare meglio? /di più e meglio nella foga a volte si confondono.../
-sarà che pure noi subiamo la logica o il fascino della produzione per cui, ben vengano i processi, ma poi spesso si ricade nel produrre e nei prodotti? / sono tangibili, danno soddisfazioni…e che dire delle foto, prodotto finito, immediato, si fa esperienza anche per fare foto../
Comunque siamo in mezzo a questo turbinio e forse rendersene conto è importante non solo per inserire strategie di compensazione ma per guardarsi dentro e intorno con maggior consapevolezza.

Ornella

venerdì 5 ottobre 2007

Domande sull'identità del coordinamento

Il coordinamento è nato 8 anni fa con l’obiettivo di condividere un approccio pedagogico e mettere in rete le esperienze dei nidi e delle scuole dell’infanzia.
È stato un percorso denso di scoperte, di conquiste e di innovazione, costruite attraverso la relazione tra pedagogisti ed educatrici nell’ottica dell’arricchimento reciproco. Si è partiti dall’esperienza del così detto “approccio reggiano” spaziando poi in altri contesti.
Oggi credo sia fondamentale interrogarsi su questa scelta (che è sempre una assunzione di responsabilità) non tanto per una collocazione di campo, quanto per proporsi determinati obiettivi e traguardi di percorso, e per individuare gli spazi di miglioramento delle scuole e dei nidi. Occorre fare una verifica di coerenza (culturale) su quanto abbiamo costruito insieme e su quanto è rimasto da costruire, e si rende necessari aggiornare il panorama per comprendere la fattibilità degli obiettivi condivisi e la loro effettiva condivisione.
Abbiamo vissuto tante accoglienze e qualche abbandono, che comunque hanno lasciato un contributo culturale (e non solo) di grande importanza per noi. Ora abbiamo provato a ridefinire il modo di fare consulenza e formazione e questo ci impone anche di dire e di dirci dove vogliamo andare dal punto di vista pedagogico.
Abbiamo lavorato per condividere una immagine di bambino, e di nido o di scuola, e successivamente abbiamo condiviso anche un approccio di lavoro (progettazione, osservazione, documentazione etc.). quali coerenze abbiamo costruito tra l’immagine di bambino (componente filosofica) e il modo di lavorare (componente pragmatica ed operativa)? Quanto le sentiamo coerenti? Riteniamo ancora che le scelte fatte siano contemporanee?
Abbiamo parlato tanto di diritti, anche se forse mai abbastanza, ma dobbiamo prendere in considerazione il fatto che parlare di diritti ci porta anche a parlare di doveri (etici oltre che professionali) e di responsabilità (educative ma anche civiche). Ci sentiamo pronti a farlo? Lo riteniamo utile?

Cristian

Scarica questo post in formato pdf

giovedì 4 ottobre 2007

Prima equipe di coordinamento e Piano di Formazione

In collegamento la bozza del primo calendario del progetto di formazione 2007/2008 con gli appuntamenti condivisi e relativi alle tematiche del rapporto con le famiglie, dell'ecologia, degli spazi educativi e dei linguaggi del corpo, più un incontro relativo al sistema integrato dei servizi socio sanitari che incontriamo negli incontri relativi a disabilità o altre situazioni. La bozza sarà discussa oggi 4 ottobre, condivisa ed approvata. Sono previsti in calendario anche i tre incontri di coordinamento. A questo collegamento è anche possibile leggere la scaletta dell'equipe di coordinamento di oggi. Cristian

martedì 2 ottobre 2007

4 ottobre: Incontro di coordinamento

Giovedì 4 ottobre, ore 16,30-18,30, presso il nido Girotondo di Gonzaga, primo incontro di coordinamento. Condivideremo il piano di formazione con le proposte che avete fatto e il calendario di tali incontri (sedi, orari, date, etc.) così da avere una pianificazione dei nostri lavori fino a dicembre-gennaio. Le tematiche emerse fino ad oggi sono
1) linguaggi dle corpo
2) ecologia
3) relazione con le famiglie
4) spazi educativi
5) il sistema dei servizi sociali e sanitari
Il 4 ottobre nell'incontro di coordinamento condivideremo anche altre tematiche che possono essere emerse in questi giorni.
Ciao a tutte,
Cristian

La crociata dei bambini

di Enzo Baldoni

Qui, sul confine, tra Birmania e Thailandia, si gioca una partita che ha sempre interessato pochi, in Occidente. Quasi nessuno, anzi, dopo la fine della Guerra fredda. Da una parte uno dei tanti piccoli popoli che le suddivisioni coloniali hanno lasciato senza una patria. Dall'altra una giunta militare, quella birmana, chiusa, oppressiva, corrotta. Decisa a spazzar via l'identità dei Karen, così si chiamano le vittime. Con le uccisioni, i rastrellamenti, le torture, gli stupri. La pulizia etnica. Tra le montagne, nella giungla, è difficile che qualcuno si intrometta. È facile coprire tutto con il silenzio delle vittime.

Ed è per rompere questo silenzio che la frangia più disperata della guerriglia ha passato il confine e ha colpito in Thailandia. Azioni eclatanti, suicide. Prima l'assalto all'ambasciata della Birmania a Bangkok. Poi quello all'ospedale di Ratchabury, finito con l'uccisione, a sangue freddo, dei guerriglieri-bambini. Bambini sono anche i loro comandanti, Luther e Johnny. La foto dei gemelli dodicenni, con il sigaro birmano tra le labbra, ha fatto il giro del mondo. È valsa loro l'attenzione di giornali e tivù. Ma anche la caccia feroce da parte dei soldati birmani, che erano quasi riusciti a sopire del tutto la resistenza dei Karen, e ora si ritrovano sotto i riflettori.

Sono qui intorno, Luther e Johnny, i gemelli terribili. Si stanno inerpicando da qualche parte tra queste montagne puntute e coperte da una giungla impenetrabile. Sono in fuga, con sei battaglioni alle calcagna. Ma le domande che mi vengono in mente sono quelle di chi pensa a un bambino: che cosa mangeranno? Che acqua putrida saranno costretti a bere? Saranno feriti? Avranno paura o saranno ancora convinti della magia che dicono li renda immortali?

Chissà che cosa pensano, invece, i soldati birmani che in questo stesso momento danno loro la caccia, imbracciando i pesanti G3 di fabbricazione tedesca.Si dice che hanno una paura folle dei due gemelli, della magia che gli permette, con una parola, di scatenare un esercito di 5.000 diavoli. Forse gli hanno già trovato un posticino nella complicata panoplia di spiritelli e nats che popola lo straordinario immaginario collettivo dei birmani.

Sulla strada polverosa, tra queste montagne impassibili, ogni tanto passa una coppia di soldati thai in motocicletta, armati fino ai denti, e penso che, appena al di là di quella collina, c'è l'accampamento di Kamerplaw, dove si è appena consumata una delle tante carneficine con cui l'esercito birmano, il temibile Tatmadaw, sta cercando di spezzare la resistenza dei Karen. È una lotta che dura da cinquant'anni. La lotta di questo popolo (sette milioni in Birmania, altrettanti in Thailandia) per la propria esistenza e per un'indipendenza promessa e tradita.

Sono giornate tese: la frontiera è sigillata. Ma i numerosi profughi birmani sono in contatto con l'altra parte, e i messaggi arrivano a mano, via radio o col cellulare. Chi me le dà è un giovane, rappresentante della KNA (Karen National Army) e degli studenti birmani in esilio che riesco a incontrare dopo una lunga catena di appuntamenti e di rimandi in un campo profughi della frontiera birmano-thailandese: chiamiamolo Khim.

Khim è giovane, intelligente e ha un'aria molto fragile, nei suoi pantaloni neri e camiciola bianca. Somiglia a un personaggio di Garry Trudeau, Nguyen Van Phred, il vietcong che amava la musica americana. Tanto per cominciare, mi dice Khim, il famoso assalto all'ospedale di Ratchabury non è stata una mossa premeditata, ma un atto di disperazione. I thailandesi erano furibondi per aver perso la faccia di fronte ai birmani durante l'occupazione dell'ambasciata della Birmania a Bangkok, nello scorso ottobre, e volevano prendere a tutti i costi i cinque guerriglieri del Vigorous Student Warriors che l'avevano portata a termine.

I cinque si erano rifugiati nel campo dei gemelli, Kamerplaw, giusto dietro la collina che sto guardando in questo momento. Un gruppo di uomini d'affari thai, interessati ai diritti di pesca nelle isole Andamane, ha voluto fare un grazioso regalo ai militari birmani: ha messo una taglia di cinque milioni di baht (250 milioni di lire, una fortuna qui) per chi li prendeva, vivi o morti.

I comandanti locali thai e birmani si sono messi d'accordo e hanno cominciato a cannoneggiare da ambo le parti del confine le povere capanne di bambù, col risultato di uccidere 20 persone (su un totale di 700), quasi tutte donne e bambini, e di ferirne un numero imprecisato. Così, presi dalla disperazione, dieci ragazzi poco più che adolescenti sono usciti dalla giungla, hanno sconfinato in Thailandia, hanno dirottato un autobus e occupato con le armi la cosa più cretina che potevano occupare: l'ospedale di Ratchabury. Un palazzone con venti ingressi in cui anch'io, così evidentemente farang, bianco - sono entrato tranquillamente, senza che nessuno mi chiedesse spiegazioni.

Figuriamoci. Per la temibile 9a Divisione dell'esercito thai travestirsi da malati e infermieri e fare un blitz alle cinque del mattino è stato un giochetto. I ragazzi si sono arresi. Ci sono testimonianze e fotografie che dimostrano che sono stati giustiziati sul posto, in mutande e con le mani legate col filo elettrico: un colpo alla nuca e via. Se guardate bene le foto, i lenzuoli bianchi che avvolgono i corpi da adolescenti malnutriti sono sporchi di sangue solo alla testa.

L'armata dei Bambini di Dio (God's Children Army, nella corretta traduzione dalla lingua karen) è scappata nella giungla, coi propri capi di 12 anni, i gemelli Luther e Johnny Htoo. Sei reggimenti birmani, per un totale di circa 1.600 uomini, gli stanno dando, cocuzzolo per cocuzzolo, albero per albero, una caccia feroce, disperata, mortale. Mentre il 375°, il 380° e il 539° hanno occupato il campo di Kamerplaw, altri tre battaglioni hanno circondato l'area.Nel frattempo, di concerto, i soldati thailandesi hanno sigillato la frontiera e lasciano passare solo donne e bambini. Lo scopo è chiaro: annientare l'Armata dei Bambini di Dio e dare un segnale preciso: chi tocca la Thailandia muore.

Naturalmente, riuscire a portare le teste dei cinque attaccanti dell'ambasciata, per i due comandanti vorrebbe dire 5 milioni di baht da spartire: certo non è per interesse, è per il bene della Patria. A complicare il tutto, tra pochi giorni a Bangkok c'è anche la riunione dell'Unctad, l'organizzazione dell'ONU per il Commercio e lo Sviluppo: sono stati minacciati attentati da parte di varie organizzazioni filoislamiche e non, ed è chiaro che i militari thai hanno i nervi a fior di pelle. Proprio in questi giorni stanno dando un giro di vite, e le carceri straripano di profughi birmani sorpresi in territorio thailandese senza permesso di soggiorno.

Piccoli soprusi, a confronto di quelli perpetrati in Birmania. Dove si pratica, per esempio, lo human demining. Che cos'è? Semplice. I Karen, per proteggere il loro territorio, minano certe fasce di terreno. I soldati della giunta militare prendono le donne e i vecchi, e, coi fucili spianati, li fanno camminare sui campi. Ogni mina che scoppia, due piccioni con una fava. I bambini li risparmiano. Perché è facile insegnare a un bambino a odiare. Li portano in campi speciali dove li indottrinano, li trasformano in perfetti piccoli soldati di dieci, dodici anni che poi tornano ad ammazzare e a torturare la propria gente.

Neanche in questi giorni i soldati birmani si fanno troppi problemi. Il 2 febbraio hanno catturato nella giungla 21 donne e 17 bambini. Cinque delle donne erano incinte. Il generale di divisione ha ordinato ai comandanti sul campo di uccidere un paio di prigionieri di fronte a tutti, per dare l'esempio. Sono state scelte due delle donne incinte.

Nella capanna di bambù di Khim, nascosta nella giungla, ascoltiamo una vecchia ricetrasmittente Standard S-800, di fabbricazione giapponese: i combattenti del KNA sono riusciti a intercettare le frequenze dell'esercito birmano, e li ascoltano con attenzione. "Senti?", Mi dice Khim, "hanno detto che i soldati sono stanchi, che i prigionieri stanno male, vomitano, e loro non se la sentono di continuare a trasportarli per la giungla. Chiedono istruzioni. E indovina quali saranno?" Scende un silenzio cupo, mentre ascoltiamo l'incomprensibile cinguettare birmano che porta messaggi di morte.